venerdì 13 giugno 2008

Cani

Victor Mancini, il protagonista di "Soffocare", attribuiva la sua dipendenza al sesso alla meccanica con la quale aveva perso la verginità.
Non sono certo così borioso da pensare di poter narrare bene quanto Chuck Palahniuk, perciò arriverò subito al punto.
Il nostro Victor raccontava di come i bagni degli aerei fossero spesso usati come luoghi d'incontro sessuale: era facile entrare in una qualsiasi toilet su un qualsiasi volo per trovarla occupata da qualcuno in attesa di un occasionale compagno di viaggio.
Fu in un viaggio che aprendo una di quelle porte trovò una ragazza, specchio di ciò che lui sarebbe diventato.
Tutta la sua successiva dipendenza sarebbe stata un'unica continua ricerca di quell'amplesso, con i sensi falsati dalla pressurizzazione dell'aereo, con un vuoto d'aria giunto proprio nel momento del di lui orgasmo.

Non ho mai scopato in un aereo.
Ma quel racconto mi fece riflettere se ci fosse o no un qualche avvenimento al quale ricondurre una parte di ciò che sono.
Lo trovai.

Avevo quattordici anni, non sapevo ancora nulla delle donne e del sesso (oddio, non che ora sia un esperto), ed ero in vacanza. Ero perdutamente innamorato, ai tempi in cui questa parola significava quel qualcosa di ovattato ed intenso che solo l'adolescenza può dare, di una mia compagna di Liceo che, no, non ho mai scopato e non ci sono neanche mai uscito e, pensate un po', non ha mai neanche saputo di quanto quel periodo passato a sognarla avesse significato tanto per me.
Ah, com'era bello il mondo quando era colorato.
Conobbi due sorelle. Gemelle.
I miei amici le avevano conosciute la sera prima, e mi avevano assicurato che erano due tròie con la o talmente aperta da sembrare surreale.
Una di loro, dopo pochi minuti di conoscenza e sguardi e sorrisi mi chiese il numero di telefono.
Così quella sera uscimmo a quattro: loro due, io ed un mio amico.
Successe tutto molto in fretta.
Lei che mi prendeva la mano e se la poggiava sul culo.
Io che mi chiedevo (ma c'è mai stato un momento, nella mia vita, in cui non mi sia fatto domande?) se era quello ciò che stessi cercando.
Se fosse felicità oppure ormoni.
Troppo giovane per capire che gli ormoni sono tutto e la felicità non esiste.
Lei che mi baciava e lei che.
Notte, buio, altri giorni.

Non la scopai. Come ho già raccontato in precedenza, eccello nelle aperture e mi fermo nel mediogioco, di conseguenza non capivo come provarci.
Su, potrei essere anche meno duro con me stesso, semplicemente ero un ragazzino del tutto inesperto che si trovava davanti un qualcosa di troppo complicato da gestire.
Continuai ad uscirci comunque, un po' cotto, un po' annebbiato da quell'impressione innata ad ogni maschio che ti fa pensare che, di certo, i comportamenti che ha lei con te non li avrebbe con nessun altro.
Ma era una tròia con la o talmente aperta da parer finta, e non passarono che mezza mano di giorni prima che lei cominciasse a provarci con chiunque passasse.
Alti, bassi, grassi, magri, giovani, vecchi.
La o aperta sì, ma mai quanto le sue gambe.
Ci provò con mio fratello, di quindici anni più grande di me e perciò anche di lei.
Non so se non la scopò perché gli dispiaceva per me, oramai incapace di distinguere adrenaline ed endorfine e sentimenti, oppure perché era una bambina in confronto a lui.
Non gliel'ho mai chiesto.

Verso la fine di tutto, arrivò lui.
La mia ragazza della toilet.
Il mio antimodus operandi.
La mia nemesi.

Un signore sui quaranta si avvicina. Io e Monica siamo abbracciati e lei mi accarezza la schiena. Sua sorella è vicina e chiaccheriamo.
E' alto, abbronzato, il fisico più che asciutto e muscoloso ed una vaga somiglianza con un qualche attore.
"Ciao belle", esordisce, "siete nuove di qui?",
"Ma ciao! Siamo qui da un po', e sai che tu sei proprio bello?", risponde Monica, mentre io comincio a mettere il broncio. O tempora! O mores!
Chiaccherano un po' prima che la moglie di lui ci raggiunga. Facciamo un pezzo di strada assieme, ma appena la sua consorte si gira o si ferma a parlare con altri lui comincia ad usare orrende strategie da maniaco sessuale con le due.
"Vi guardavo da un po', bimbe, e mi è venuto in mente che è da tempo che non mi scopo due gemelle. Una sera di queste ci vediamo?", poi la sua donna torna e riprende a parlare di tutt'altro.
In mezzo ad una di quelle pause invece di avvicinarsi a loro, si avvicina a me.
Mi parla nell'orecchio.

Aveva più di quarant'anni.
Avevo solo quattordici anni, non sapevo di preciso cosa fosse un clitoride, da poco avevo scoperto che le ragazze lì sotto avevano una cavità, un capezzolo indurito che si intravedeva da sotto una maglietta era per me un avvenimento da raccontare agli amici per mesi, e se mi avessero chiesto come leccare una donna mi sarei trovato in seria difficoltà, chiedendomi più che altro se un giorno sarei riuscito a fare qualcosa di così schifoso.

Mi parla nell'orecchio.
Dice "queste sono due mignotte, bello".
Dice "adesso capisci come si fa con le mignotte, faccia di merda?"
Dice "guarda ed impara, faccia di merda."

Aveva più di quarant'anni.
Avevo solo quattordici anni.

Fu l'ultima volta che lo vidi, per quell'estate, e fu la penultima volta che vidi le gemelle.
Il giorno dopo mi vennero a salutare prima di partire: la sera prima si erano viste con lui, che sapeva farci con le mignotte, sua moglie li aveva trovati in pineta mentre si faceva fare un doppio pompino, le aveva picchiate entrambe ed aveva giurato loro che se entro un giorno non avessero lasciato quel posto le avrebbe uccise.
Sapeva farci con le mignotte.
Aveva più di quarant'anni.
Avevo solo quattordici anni.

Lo rivedo l'estate dopo.
Sono con una ragazza seduto su di una panchina e lei mi abbraccia e mi bacia e.
Lui si avvicina e mi saluta e non posso non notare quanto tempo passano i suoi occhi fermi sulla di lei scollatura.
Mi sorride.
Dice "bravo".

Lo rivedo l'estate dopo ancora.
Ho cambiato amica ed ho cambiato posto dove star seduti e lui passa ancora.
Altro saluto ed altri minuti in convenevoli sbrigati solo per dargli più tempo di fissarle le tette.
Non mi dice niente.
Si limita ad annuire ed a farmi l'occhiolino.

Non lo vidi mai più.
La mia toilet nell'aereo.
Il motivo per il quale avere ancora qualcosa da dimostrarmi.

Non sono una faccia di merda. Non esageriamo: lo sono, ma ho charme. Non sono bravo nel mediogioco, ma le mie aperture stupiscono, e non ci proverei mai con nessuna come faceva lui, neanche se mi assicurasse una riuscita.
Non sono una brava persona, tuttavia non mi passerebbe mai per la testa di insultare gratuitamente un ragazzino solo perché è imbranato con due tròie dalla o così aperta da sfuggire alla sua vista.
Non lo vedo da anni, ma non riesco ad abbandonare il ricordo del suo alito contro il mio padiglione, come quella goccia di sperma di Victor rimasta sospesa all'altezza dei suoi occhi per un secondo a causa del vuoto d'aria.
Non era cattivo, immagino.
Era solo ciò che non vorrei mai diventare.




You gotta be crazy, you gotta have a real need.
You gotta sleep on your toes, and when you're on the street,
you gotta be able to pick out the easy meat with your eyes closed.
And then moving in silently, down wind and out of sight,
you gotta strike when the moment is right without thinking.
(Pink Floyd - Dogs)

giovedì 12 giugno 2008

Il mediogioco

Una partita di scacchi si divide in tre tempi ben distinti.
L'apertura, il mediogioco ed il finale.

Questo era l'inizio di un qualsiasi manuale sul gioco, da quello per principianti a quello per esperti. Gli scacchi sono una massiccia metafora di vita, e la loro schematicità ha contribuito a farmeli amare fin da quando ero poco più che un infante.
Ma in qualcosa ho sempre trovato difficoltà.
Il momento più importante di ogni partita è sempre stato per me complicato: esordisco in maniera perfetta per poi trovarmi in crisi nel momento in cui c'è bisogno di consolidare la propria posizione.
Come potrei muovere i cavalli? In che maniera salvaguardo le mie diagonali? La regina può rimanere a far guardia al re? Se arroccassi adesso non ci sarebbe il rischio di incorrere in un matto da corridoio come il peggiore dei principianti? Ma se lascio lì la torre rischio di non usarla per tutta la partita...
Ho perso così la maggiorparte delle mie partite andate male.
Adoro le aperture ad effetto ed i trabocchetti, anche se non vanno a buon fine: spaventano l'avversario e lo obbligano a mettersi, anche solo psicologicamente, sulla difensiva.
Tuttavia, non sono mai riuscito ad eccellere nel mediogioco, e ciò si è riflesso in qualunque situazione. Non solo negli scacchi.

Avrei bisogno di capire come andare avanti. Non posso nascondermi dietro seppur arguti finali, elaborati solo per far capire che, lo si nota, ci so fare.
C'è qualcosa che mi blocca.
Quando ho qualcosa di bello per le mani, non riesco a resistere all'impulso di fallire volontariamente.
Di desiderare di non averlo mai avuto.
Che sia difendermi, non far nulla oppure attaccare, trovo logico sbagliare come unica alternativa.

Non dovrebbe andare così. So quale sia la cosa giusta da fare, ma non riesco a fare nient'altro che buttarmi a capofitto dalla parte opposta.
Un pedone è sempre utile. Non posso perdere la regina sperando in un suo errore dopo due turni.
Almeno una torre dev'essere esposta al momento opportuno per elaborare strategie assieme ad un alfiere o, meglio ancora, ad un cavallo.
Nel frattempo, qualcuno deve rimanere in guardia del re, senza tuttavia rischiare di chiuderlo in facili trappole.
I pedoni non dovrebbero mai stare da soli.
La regina deve attaccare senza mai rischiare.
La regina è il pezzo più importante della scacchiera, subito dopo il re.

Imparerò, anche se non ho più nulla da imparare?





Le notti, le botte, le stelle, com'erano belle, ma ora non so se è inverso.

Amanti, amici, onanisti, ribelli, musicisti, mai fratelli,
adesso solisti, coltelli, del niente, nel niente,
che al limite ti fai una sega, ti fai qualcosa.
La promozione incombe, e nonostante questo,
tra la mia gente siamo tutti ancora liberi.
(Afterhours - Neppure carne da cannone per Dio)

mercoledì 11 giugno 2008

In un oceano di gomma

C'era un tempo in cui lo facevamo per puro svago.
Cercavamo posti frequentati da anziani, possibilmente dagli ottant'anni in su, e passavamo intere giornate con loro a chiaccherare.

Quel circolo politico in periferia. Quel club di bocce in centro.
Prendevamo una birra e ci facevamo qualche giro di scopone con gente sconosciuta. Ci facevamo raccontare aneddoti, amori d'altri tempi, sogni infranti, gli lasciavamo sciorinare massime sulla vita.
Erano contenti loro di avere qualcuno di nuovo con cui parlare, eravamo contenti noi di ascoltarli.
Non c'è mai stato un motivo ben preciso, ma l'abbiamo trovata sempre un'attività affascinante.

Oggi ero seduto in un bar a pochi passi da casa mia, stavo bevendo un caffè e per puro caso ti stavo pensando.
Al tavolo di fianco, due signori sui settanta parlavano di tutto e di niente, io li ho guardati ed ho sorriso, loro hanno ricambiato.
E mentre cominciavano a spiegarmi che la vita è fatta di incertezze, che non bisogna mai fidarsi di nessuno e che avrei ricordato le loro parole per tutta la vita, ho capito che io e te non siamo mai riusciti a darci molto.
Non un consiglio che sia rimasto, non un'esperienza che valga la pena di ricordare per il solo fatto di essere insieme: cercavamo negli altri qualcosa che la nostra amicizia non avrebbe mai potuto darci.
Un'unica volta mi hai aiutato, anche se probabilmente non te ne sei accorto.
Nel periodo più incerto della mia vita eravamo in cantina da me ad ubriacarci, io ero steso sul letto e tu sorseggiavi del Lucano caldo, cercando qualcosa che ti piacesse tra i miei cd.
"Cosa devo fare?", ti chiesi, provando a non pensare, ancora un altro sorso,
"Cosa?", mi chiedesti a tua volta,
"Vorrei soltanto una buona ragione per non lasciare tutto",
"Stabilità", mi rispondesti secco, senza neanche renderti conto che, in quel momento, mi salvasti.
Da quell'attimo in poi mi fù tutto più chiaro.
Feci mia quella tua parola e non la dimenticai mai.

Ed è solo per quella sera che continuo a pensarti, tra le migliaia che abbiamo passato insieme, quando mi dicesti di cercare ciò che tu non avresti mai voluto avere. La stabilità.