sabato 24 maggio 2008

I miei ricordi all'asta

Un tempo mi svegliavo presto con piacere.
Mille anni fa o giu' di li', d'estate aprivo gli occhi, mi alzavo e respiravo quell'odore strano.
Legno sempre fresco anche dopo trent'anni.

Mi e' venuto in mente l'altro giorno, passando dal Duomo, dove stanno allestendo un capannone per un qualcosa, non mi son fermato ad informarmi: c'era quello stesso profumo nell'aria.
Ho chiuso gli occhi per un secondo e mi sono ritrovato li', in piu' tempi.

Quando era tutto piu' facile e non c'era davvero niente di cui preoccuparsi.
Quando qualcosa che non andava c'era, ma bastava poco per dimenticare.
Quando, lacrime agli occhi e mani impolverate, smontavo mobili e posavo libri nei cartoni e salutavo per l'ultima volta il mio posto speciale.

E torno a ieri.
Arrivo e non c'e' nessuno, e mi chiedo se sia un sogno: e' tutto spento e chiuso e neppure quel bar sempre aperto ha le serrande alzate. Volevo un cornetto ai frutti di bosco. Un cappuccino con tanto cacao. Un succo di frutta.
Ammiccare la barista.
Chiederle cosa facesse dopo il lavoro, e cercare di capire se i suoi sorrisi fossero di fastidio oppure di consenso.
Ma non c'e', non c'e' nessuno.
Tranne lui, per uno strano scherzo del caso lui c'e'. Lui, che mentre io piangevo mi informava contento di aver comprato casa mia per farci un bettenbrecfa, con la sua voce squillante e fiera e odiosa ed avrei voluto strozzarlo li', su quel pavimento in ceramica, contro quei letti in canne, quel muro a buccia d'arancia, quella porta d'ingresso cosi' difficile da aprire.
Dopo avrei osservato contento i lividi sul suo collo che andava raffreddandosi.
Avrei spinto via con il piede l'ultimo sprazzo di ossigeno dai suoi polmoni.
Mi sarei chiesto se avessi fatto la cosa giusta e mi sarei risposto di no, di si', di non lo so.
Mi sarei sentito, forse per l'ultima volta, vivo.

Non lo feci.
Rimasi li' ad ascoltarlo mentre mi raccontava con quale maestria avesse vinto l'asta.
Un rilancio qui, un brutto sguardo li', ed ecco che il mio posto speciale finiva nelle sue mani unte.
La veranda dove ho dato il mio primo bacio.
Il letto dove, davvero, non ricordo se l'ho baciata oppure no.
Il divano sul quale ho riso e pianto ed ho amato ed odiato.
La stanza nella quale ho letto i primi fumetti della mia vita ed imparato le mie prime sintassi di Assembler.
La doccia in cui lei si lavo' ed io ci entrai poco dopo cercando il suo profumo.
Tutti questi ricordi per il modico prezzo di novantamila euro o giu' di li'.
La mia vita in contanti.
E morii.

Non e' stata colpa mia. Sono riuscito ad allontanare questa possibilita' solo dopo molti sforzi, ma alla fine ho capito che non avrei potuto farci davvero nulla.
Sono andato avanti ed ho fatto l'unica cosa che potesse aiutarmi: cercare di dimenticare.
Ma non si puo'.
Non posso dimenticare tutto.
Non posso non sedermi su quel bagnasciuga cosi' familiare e non sognare che un giorno tutto quello dovra' essere mio.
Dal primo all'ultimo granello di sabbia, ogni metro quadro di cemento.
Ogni giardino per niente curato durante l'inverno.
Ed anche quando quel giorno arrivera', come ieri saro' da solo.
Con la polvere ed il polline e gli aghi di pino.
Le foglie e le alghe e gli scogli.
Io e miei ricordi e la mia vita.
Il dolore, che nessuno mi potra' mai portar via.

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